lunedì 30 dicembre 2013

Aglio free? Con aglio! (Fokhagymával!)




fokhagyma krémleves
Parliamo di abitudini alimentari, in Italia e in Ungheria; in particolare, dell’aglio (ungh. fokhagyma).
Su etichette alimentari o in menù di ristoranti sta circolando un cattivo, anche per la gastronomia, neologismo: AGLIO FREE (senza aglio). Questo ingrediente alimentare fondamentale, non solo nella “dieta mediterranea”, rischia l’ostracismo.
La causa? L’alito pesante, che in realtà si può limitare fortemente eliminando il germoglio verde interno e scegliendo varietà adatte.

Le virtù dell’aglio, condimento ma anche cura,  sono note fin dall’antichità: oltre ad aromatizzare i cibi, è antibiotico naturale, analgesico, antiipertensivo, e nel folklore popolare anche afrodisiaco e... anti-vampiri.

In Italia è usato in tutte le cucine regionali: dalle minestre alle insalate, passando per salumi e carni. Il primo piatto, appetitoso e semplice, che preferisco è spaghetti, aglio, olio e peperoncino. È gustoso anche sulla pizza alla Marinara (solo pomodoro e aglio), ed è un ingrediente indispensabile della bruschetta (una fetta di pane abbrustolita, strofinato con aglio e condito con olio d’oliva).

In Ungheria si usa con più moderazione. Lo preferisco nella gustosissima  fokhagyma krémleves, una zuppa cremosa a base d’aglio e panna, accompagnata da crostini (in Ungheria la zuppa, leves, apre spesso un buon pasto). Nei mercatini ungheresi si possono trovare anche spicchi d’aglio in vasetto (trattato in modo da non lasciare tracce nell’alito o nella traspirazione), da usare come contorno.
Inoltre, così come in Italia cresce spontaneamente nei campi l’erba cipollina, in Ungheria si può trovare nei boschi la medvehagyma (“aglio orsino”), un aglio selvatico originario del Bakony, montagne a nord del lago Balaton (il “mare” degli ungheresi). Si usa, tra l’altro per preparare una divina focaccina (pogácsa) che si trova anche dal panettiere (pékség).

Insomma, usato con accortezza, l’aglio non può mancare nella cucina italiana e – credo – neppure in quella ungherese.

lunedì 23 dicembre 2013

Le meraviglie dell’ungherese (2/2).

L’ungherese è “l’unica lingua che il diavolo rispetti” (in ungh.: az egyetlen nyelv, amit az ördög tiszteletben tart).
Sembra un detto magiaro, ma è solo un’invenzione letteraria di Chico Buarque, popolare cantautore brasiliano. Buarque ha scritto il romanzo Budapest (Feltrinelli, 2005), anche se non è mai stato in quella città: è stato attratto dalla diversità della lingua magiara, che apre orizzonti inaspettati. Ha inventato così un’avventura linguistica per il suo personaggio, José Costa (alias Zsozse Kosta), un ghost writer che mette in gioco la sua identità, dividendosi tra due terre lontane e due lingue diversissime ma magiche come il portoghese e l’ungherese (di cui lo colpisce la pura e semplice sonorità), e“quando scopre che in ungherese è un poeta e non un prosatore è come se scoprisse di avere un'altra anima, che non conosceva” (v. intervista).
Il concetto è stato espresso anche da Andrea Csillaghy (già docente di ungherese a Udine), che in un convegno del 2002 sui mediatori culturali affermava che “la competenza linguistica rimane nella coscienza adulta come un raddoppio dell’anima stessa”. Csillaghy ha sottolineato inoltre la vivacità del lessico ungherese dopo il 1989 grazie, in particolare, ai giovani e ai pubblicitari.

Le origini dell’ungherese non sono chiare. Addirittura nel Medioevo veniva assimilato al “turco” poiché “turchi” venivano chiamati i popoli che arrivavano in Europa da est.
Assieme al finlandese e all’estone, l’ungherese fa parte del gruppo linguistico ugrofinnico (circa 200 parole-base in comune), che non ha parentele certe con le lingue indoeuropee (albanese; armeno; baltiche; celtiche; germaniche; greco; indo-iraniche; romanze, comprendenti francese, italiano, portoghese, rumeno, spagnolo). Anzi, il gruppo ugrofinnico (un po’ eterogeneo, visto che tra finlandese e ungherese c’è più distanza che tra inglese e russo) è inserito nella famiglia linguistica uralica, inglobato nel gruppo uralo-altaico (le principali lingue altaiche sono: kazaco, manciù, mongolo, turco, usbeco).
Per perdersi definitivamente in questa babele linguistica, va aggiunto che alcuni studiosi rintracciano origini dell’ungherese nelle lingue lapponi, nel greco antico e, addirittura, nella scomparsa lingua sumera  – forse la prima lingua con una scrittura, quella cuneiforme – parlata in Mesopotamia dal IV millennio a.C. (estinta dal 2300 a.C., ma usata come lingua classica ancora per due millenni). Infine, la lingua ungherese è ricca di “prestiti” da altre lingue: dalle più antiche (antico slavo, arabo, latino medievale, tedesco) alle più moderne (lingue anglosassoni ma anche neolatine o romanze). L’odierno ungherese standard si basa sul dialetto dell’Ungheria orientale consolidatosi nel XVIII secolo: circa un milione di vocaboli, ma nella conversazione ne bastano 8-10mila (più o meno come in italiano).

Il risultato è un lessico originale, completamente diverso dalle altre lingue europee, come originale è la struttura sintattica, definita agglutinante suffissante: in soldoni, le parole vengono formate incollando alla radice (elemento minimo con significato) diverse unità elementari (suffissi) o aggiungendo posposizioni che ne segnano la funzione nella frase.
Ad esempio : “per i miei amici” in ungherese diventa a barátaimnak (a barát-ai-m-nak, lett. “gli amico-i-miei-per”).

In sintesi, le principali caratteristiche della lingua ungherese (magyar nyelv) sono:
-         scrittura fonetica, in quanto corrisponde alla pronuncia (con l’eccezione dell’assimilazione, dove una di due consonanti vicine cambia suono);
-         mancanza di generi grammaticali (maschile, femminile, neutro);
-         peculiare sistema di declinazione dei nomi per indicare il caso (modifica di un nome a seconda che sia il soggetto o un complemento) e il numero (singolare, plurale);
-         specifiche coniugazioni verbali soggettive e oggettive, oltre che per persona e numero; i verbi hanno solo 3 tempi  (passato, presente, futuro) e 6 modi (indicativo, imperativo, condizionale, gerundio, participio, infinito);
-         alto numero di casi (almeno 17) al posto dei complementi; suffissi segna-caso al posto delle preposizioni;
-         uso limitato del plurale dopo un numerale non si usa);
-         accento tonico sempre sulla prima sillaba, anche se ci sono accenti secondari nelle parole più lunghe dove compaiono vocali lunghe;
-         regola dell’armonia vocalica: ogni parola contiene o tutte vocali basse (a, á, o, ó, u, ú) o tutte alte (e, é, i, í, ö, ő, ü, ű); fanno eccezione parole con i, quelle straniere e quelle composte);
-         14 vocali (7 brevi e 7 lunghe) che si pronunciano sempre separatamente (non esistono dittonghi), e due semivocali, su 40 lettere dell’alfabeto (oltre alle lettere non ungheresi: q, w, x, y);
-         assenza di aggettivi possessivi, ma si usano suffissi nominali possessivi e pronomi possessivi (declinabili);
-         van e vannak (3° persona: è, sono) si omettono nelle frasi con predicato nominale; si usano soprattutto col significato di “c’è, ci sono”;
-         la struttura della frase è SOV, soggetto-oggetto-verbo (come nelle lingue uralico-altaiche), e non SVO (come nelle lingue neolatine), anche se in linea di massima l’ordine delle parole è libero e dipende dalla parola tonica (quella su cui cade l’enfasi), che va messa subito prima del verbo.

Ecco infine altre citazioni sulla lingua ungherese (che ho tradotto dall’inglese), raccolte dallo scrittore ungherese Kalmár János per descrivere le meraviglie dell’ungherese (a magyar nyelv csodái).

1840 - N. Erbesberg, professore di Vienna famoso a livello mondiale: “La struttura della lingua ungherese è tale da sembrare che i linguisti l’abbiano creata con l’intento di incorporare in essa ogni regola, concisione, melodia e chiarezza, e oltretutto viene evitata qualsiasi volgarità, difficoltà di pronuncia e irregolarità.”

1860 - Jules Oppert sottolineò la parentela tra la lingua Ungherese e quella dei Sumeri.

1870 - Archibald Sayce, Professore di Studi Orientali a Oxford, decifrò il primo testo in lingua Sumera e fece un’analisi linguistica della lingua. Trovò la stretta parentela col Sumero nelle lingue Ungherese e Basco. Andò in Ungheria per imparare l’ungherese e trovò anche che l’ungherese era la lingua più adatta per leggere il Sumero.

1887 - Sándor Giesswein, canonico e linguista, per dimostrare la relazione Sumero-Ungherese, usò esempi antropologici e un approfondito studio comparativo della grammatica delle due lingue.

1926 - József Aczél, linguista, nel suo libro Le nostre origini Scite-Greche dichiarò:  “la Grammatica Ungherese e 300 radici nominali sono identiche nel Greco Ellenico.”

1932 - Edgar Clement, linguista Tedesco, fu così colpito dalla musicalità della lingua che imparò l’ungherese. Secondo lui la lingua ungherese aveva una forza magica che riflette una profonda spiritualità che si può incontrare solo nelle classifiche linguistiche di alto livello, specie le antiche lingue classiche.

1976 - Adorján Magyar: “ la maggioranza dei popoli europei ha imparato a leggere e scrivere solo dopo che furono convertiti al Cristianesimo, mentre i Magiari abbandonarono la propria scrittura runica dopo la loro conversione poiché la Chiesa la riteneva pagana.”

(FINE. la 1° parte è stata pubblicata il 9 dicembre 2013)

-          Schedaalfabeto ungherese

giovedì 19 dicembre 2013

Padova: editoria e traduzione (convegno).



Importante convegno internazionale dell’università di Padova – in collaborazione con CISUECO (Centro interuniversitario di studi ungheresi e sull’Europa centro-orientale) – su editoria e traduzione, focalizzato sulle lingue di “minore diffusione” (ungherese, finlandese, turco, rumeno, islandese). L’appuntamento, patrocinato da Consolato ungherese di Venezia, Accademia d’Ungheria di Roma e Associazione culturale italo-ungherese del Triveneto, è per il 16 e 17 gennaio 2014 al Palazzo Maldura di Padova.
Il tema verrà affrontato sotto due aspetti: quello della bontà della traduzione letteraria e quello dello status dei traduttori in rapporto agli editori.
Sulla prima questione interverranno,  tra gli altri, Draskoczy Eszter (università Szeged), Cinzia Franchi (università Padova), Vera Gheno (Accademia della Crusca), Pintér Márta Zsuzsanna (EKF Eger), Roberto Ruspanti (università Udine), Antonio Sciacovielli (università Szombathely).
Sulla seconda, oltre a rappresentanti di piccoli editori, parleranno della loro esperienza di traduttrici Anna Mioni, Alexandra Foresto e Laura Sgarioto.
Quest’ultimo è un tema caldo, poiché il mestiere del traduttore è poco tutelato e necessita di riconoscimento professionale ed economico. Secondo un rapporto dell’Ires E-R presentato a Roma ai primi di dicembre, il 55, 5% dei traduttori ha meno di 40anni, quattro su cinque sono donne e la gran parte ha un compenso annuo inferiore ai 15mila euro lordi (più della metà, quindi, svolge un altro lavoro). Inoltre, come ho già segnalato in questo blog (post del 16 giugno e del 30 settembre), l’editoria italiana non brilla per coraggio e correttezza.

Il 23 gennaio ’14, a Venezia (Teatro ai Frari), Consolato ungherese di Venezia e Associazione culturale italo-ungherese del Triveneto presentano l’esperimento letterario dell’ungherese Kosztolányi Dezsö (1885-1936), Kornél Esti, nella traduzione di Alexandra Foresto (prefazione di Esterházy Péter, Mimesis, 2012, € 18): il libro che ispirò Milan Kundera.


-          sindacato traduttori (STradE)

lunedì 16 dicembre 2013

Paczolay, il paremiologo ungherese.



Paczolay Gyula
Quante volte ci capita di incontrare l’autore di un libro che ci è piaciuto? Raramente, specie se il libro ha molti anni. Eppure mi capiterà.

Sono entrato in contatto con Paczolay Gyula, paremiologo ungherese, tra le maggiori autorità al mondo nella paremiologia (lo studio dei proverbi). L’avevo già ringraziato a distanza sulla mia raccolta di proverbi ungheresi, che ho tradotto in italiano, poiché dalle sue opere online ho attinto gran parte della documentazione (ho consultato anche le autorevoli raccolte paremiologiche di Bárdosi Vilmos e O. Nagy Gábor).
Paczolay è nato 83 anni fa a Ercsi, piccolo paese nella provincia di Fejér. Nella locale scuola media, il padre insegnava lingua, letteratura e storia ungherese. Le materie di studio preferite di Paczolay erano la matematica e le lingue straniere. Diventò ingegnere chimico laureandosi all’università di Veszprém, dove tornò come docente, dopo aver fatto esperienza come ingegnere di produzione e come ricercatore. Studiò anche in Italia, al Politecnico di Milano tra il 1962 e il 1963, imparando l’italiano. Imparò anche altre lingue (tedesco, latino, inglese, francese, russo, cinese, giapponese ed estone), avviando i suoi studi di paremiologia comparata. Dal 1975 cominciò a pubblicare suoi studi e ricerche, partecipando a convegni internazionali. Il suo “magnum opus” è il libro “European Proverbs” (De Proverbio.com, 2002), raccolta di 106 proverbi – parte della nostra comune eredità europea – con gli equivalenti in 55 lingue, comprese arabo, cinese e giapponese. Membro dal 2000 della Società Etnografica Ungherese, Paczolay ha ricevuto in tutto il mondo molti riconoscimenti al valore scientifico e culturale delle sue opere, tra i quali la Medaglia per il Folklore dall’UNESCO nel 2000.
Con i suoi studi, Paczolay ha mostrato che anche tra popoli molto distanti ci sono radici culturali comuni.

Ebbene, a fine gennaio avrò l’onore di conoscerlo personalmente, quando parteciperà alla presentazione del libro “Affida il cavolo alla capra. 1001 proverbie detti ungheresi alla biblioteca provinciale di Veszprém, nell’Ungheria centrale.

giovedì 12 dicembre 2013

Incontro sui rapporti letterari italo-ungheresi.




Szauder József (1917-1975)
Il budapestino Szauder József (1917-1975) è stato uno dei migliori italianisti dell’Ungheria, tanto da diventare titolare della cattedra di lingua e letteratura ungherese all’Università di Roma nel 1970-75. Tra i suoi molti saggi, spicca quello su Dante nella letteratura ungherese del XIX secolo (1966). Sua è anche la traduzione di un’antologia di scritti di Giuseppe Garibaldi (Garibaldi válogatott írásai, a cura di Sallay Géza, Művett Nép, 1955).
Sárközy Péter, attuale titolare della stessa cattedra universitaria a Roma, ha curato la ripubblicazione dei saggi di Szauder sull’Italia e sui rapporti tra la letteratura ungherese e quella italiana (Magyar irodalom, Olasz irodalom, Argumentum, 2013), aggiungendovi altri saggi comparsi in varie riviste o scritti per convegni.

Opportunamente, l’Istituto italiano di cultura di Budapest (IIC) ha promosso una presentazione del libro presso la propria sede (Bródy u. 8) – nell’ambito degli “incontri letterari” –  il prossimo giovedì 19 alle ore 18. Oltre al curatore, Sárközy, saranno presenti altri accademici e docenti.

Nell’ultimo numero della storica Rivista di studi ungheresi (RSU n. 12, 2013), Sárközy Péter ricorda la scomparsa nel 2012 di due illustri studiosi di italianistica ungherese, docenti alla ELTE di Budapest: Sallay Géza (1926-2012), tra le cui opere si trova l’antologia La poesia italiana nelle seconda metà del Novecento; Takács József (1946-2012), autore tra l’altro del volume Benedetto croce, cinquant’anni dopo.

Da segnalare infine la recente antologia bilingue, curata dallo stesso Sárközy Péter (traduzione di Marta Dal Zuffo), Fioretti della prosa antica ungherese (Sapienza Università Editrice, 2013).


lunedì 9 dicembre 2013

Le meraviglie dell’ungherese (1/2).



Nella maggior parte dei casi è la nazione che ha creato la lingua, mentre in Ungheria è la lingua che ha creato la nazione e la fa vivere attraverso tutte le trasformazioni”. È un’affermazione del giornalista e politologo ungherese, naturalizzato francese, François Fejtő (1909-2008).
La lingua magiara ha mantenuto la sua peculiarità per oltre un millennio, pur contando poco sulla trasmissione scritta, visto che dal 1000 e fino al secolo XIX la lingua ufficiale nel Regno d’Ungheria è stata il latino. I documenti più antichi giunti fino a oggi, in ungherese, risalgono al XIII secolo: l’Orazione funebre e il Pianto di Maria. Il primo libro stampato in ungherese è del 1527 (stampato a Cracovia). La letteratura ungherese fiorisce tra ‘700 e ‘800, conquistandosi un posto tra le grandi letterature europee.

A confronto la lingua italiana è una debuttante, pur se raccoglie l’eredità latina della Roma antica. Dante Alighieri (1265-1321) ha posto per primo il problema di una lingua nazionale. Ma la prima codificazione dell’italiano è avvenuta solo dopo l’Unità d’Italia, con la stesura del relativo Dizionario basato sul Toscano, a cura di  un’apposita commissione del Ministero dell’Istruzione, presieduta da Alessandro Manzoni (1785-1873). Alcuni hanno considerato la lingua italiana “la limpida continuazione del solo latino volgare” (Graziadio Isaia Ascoli).
Agli albori dell’Unità d’Italia (1861), solo il 2,5% della popolazione parlava l’italiano: 630 mila persone, compresi 400mila fiorentini e 70 mila romani il cui dialetto si avvicinava all’italiano ufficiale (Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Laterza).
Il risultato è una lingua letteraria ed erudita sì, ma un po’ astratta, che ha manifestato una carenza di parole espressive della vita quotidiana, di cui sono invece ricchi i dialetti.

Una maggiore ricchezza espressiva si riscontra invece nella lingua ungherese, in ragione della sua durata e della sua diffusione in tutti gli strati sociali. Ma il suo relativo isolamento (non esente da contaminazioni germaniche, slave, turche) ha reso necessario arricchirne il lessico. Nel XVIII secolo il movimento “riforma della lingua” (nyelvújítás) – guidato dal letterato Ferenc Kazinczy (1759-1831) – ha introdotto oltre diecimila nuovi vocaboli per meglio esprimere in ungherese concetti e idee più moderne.

Lo scrittore ungherese Kalmár János ha raccolto varie citazioni sulla lingua ungherese (magyar nyelv), definendola con enfasi “una delle vere meraviglie della Terra dai tempi antichi”.
Ne ho tradotte alcune (dall’inglese) per i lettori.
Ecco dunque le meraviglie dell’ungherese (a magyar nyelv csodái)!

1480 – Marcio Gallotti, un umanista alla corte di Re Mattia Corvino, dichiarò con stupore: “Gli Ungheresi possono essere aristocratici o contadini, ma usano tutti la stessa lingua.”

1609 – Polanius Amandus, lo scrittore umanista che viveva a Basilea, quando fu pubblicata la "grammatica ungherese" di Albert Molnár, scrisse: "C’erano alcuni i quali dubitavano che la sfrenata lingua ungherese avesse regole, ma voi, nel vostro lavoro eccezionale, li avete proprio smentiti."

1790 - Johann Gottfried Herder riconobbe che la lingua ungherese è un grande Tesoro: “C’è qualcosa di più caro al popolo che la propria lingua? Tutto il loro modo di pensare sta nella loro lingua, il loro passato e la loro storia, le loro credenze, e la base dell’intera vita, di tutto il loro cuore e la loro anima”.

1817 - Cardinal Giuseppe Mezzofanti, che capiva 58 lingue e parlava, tra le molte altre, 4 dialetti ungheresi, salutò l’ufficiale giudiziario József a Bologna con un discorso ungherese molto brioso. Fu lui che disse al linguista ceco, Ágoston Frankl: “Sai quale lingua è equivalente al Latino e al Greco nella sua struttura e nell’armonia ritmica? È la lingua ungherese. (...) Sembra come se gli ungheresi stessi non si rendano conto che nella loro lingua è nascosto un tesoro.” Il Cardinale Mezzofanti fu fatto membro onorario dell’Accademia Ungherese delle Scienze nel 1832.

1820 – Jackob Grimm stabilì le regole per la progressione del suono e fu il primo a scrivere una Grammatica tedesca. Affermò che la lingua ungherese è logica, ha una struttura perfetta e supera ogni altra lingua.

1830 – Sir John Bowring, viaggiatore e scrittore inglese, visitò l’Ungheria e pubblicò un’antologia delle opere di scrittori e poeti ungheresi. “La lingua ungherese viene da lontano. Si è sviluppata in modo molto particolare e la sua struttura risale ai tempi in cui la maggior parte delle lingue europee parlate attualmente non esisteva neanche. È una lingua che si è sviluppata costantemente e saldamente in se stessa, e  in cui ci sono logica e matematica con l’adattabilità e la malleabilità di forze e accordi.”

1840 – Wilhelm Schott, eccezionale scienziato Tedesco: “Nella lingua Ungherese c’è una visione fresca, infantile, naturale, e si può sospettare che in essa c’è la possibilità di uno sviluppo nascosto come un bocciolo. Essa contiene molte belle consonanti morbide e le sue vocali sono molto più chiaramente pronunciate che in tedesco. Può essere usata per brevi dichiarazioni e anche per potenti oratorie, in breve, per ogni tipo d prosa. È costruita sulla corrispondenza dei suoni vocalici, rime piacevoli, e la sua ricchezza e i suoi toni altisonanti sono adatti per la poesia. Ciò è dimostrato in ogni branca dell’arte poetica.”

(continua)

Kovács: la politica dello spettacolo.



“Come tante altre volte in Europa centrorientale poesia, letteratura, teatro e musica hanno fatto da lievito all’impasto della storia”. È il prologo, riferito ad un episodio del 15 marzo 1989, di un interessante articolo di Kovács Géza, direttore generale della Magyar Nemzeti Filharmonikus Zenekar (Orchestra Filarmonica Nazionale Ungherese), pubblicato sul settimanale Internazionale (n. 1029/2013) col titolo “La politica dello spettacolo”, traduzione di Matteo Colombo. L’articolo è uscito sul periodico indipendente New Eastern Europe (Polonia), che dà voce all’Europa centrorientale.

Facendo ricorso alla sua memoria sui rapporti tra cultura e potere, Kovács sostiene che in quella parte del mondo i movimenti artistici e le performance sono sempre stati uno strumento fondamentale per esprimere emozioni e passioni represse, veicoli di un “linguaggio in codice” che aggirava l’onnipresente censura ideologica. Tale improprio ruolo assunto ad Est dalla cultura non è cessato del tutto dopo la caduta del Muro di Berlino.
Kovács ha l’impressione che “la maledizione che grava da secoli” sui paesi dell’Est Europa non sia ancora finita. Tuttora “l’arte è costretta a scegliere se prendere parte ai processi politici e storici oppure perdere il sostegno delle autorità se non, peggio ancora, quello del pubblico”. L’Unione Europea ha aperto nuove possibilità per tutti i cittadini, ma “i problemi che ciclicamente costringono le arti a schierarsi rimangono in agguato: corruzione, povertà, disuguaglianza sociale, sete di potere e populismo restano tra noi”.

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giovedì 5 dicembre 2013

Lirica per gli italo-ungheresi del triveneto.



Già dal 1998 gli italo-ungheresi del Triveneto possono contare sull’Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto, con sede a Venezia presso il consolato (S. Croce 510), quale riferimento per gli scambi culturali tra i due Paesi e per tessere più salde relazioni d’amicizia.
Quest’anno, a conclusione delle diverse attività culturali e conviviali promosse, l’associazione festeggia il suo 15° anno con un concerto lirico nel prestigioso Teatro La Fenice (ingresso € 15, ridotto € 10; prenotazioni tel. 041-2424). Giovedì 12 dicembre (ore 18) si esibirà la soprano Rosanna Lo Greco (convincente Ines nel kolossal L’Assedio del Trovatore, quest’estate al Festival di Macerata), accompagnata dal pianista Alberto Boischio.

Nella stessa giornata, ma alle ore 19.30 al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano (MUSEION, via Dante 6), l’associazione segnala un altro appuntamento artistico. Si tratta della presentazione – a cura dell’artista Fanni Fazekas – del BoH Art project, progetto di promozione dell’arte ungherese nel mondo attivo dal 2007 (scambi, artist in residence, mostre, concorsi, collaborazioni con gallerie e fiere d’arte). Le prime cinque edizioni sono state sotto il segno della competizione, coinvolgendo oltre 25 artisti o gruppi artistici; dal 2012 il progetto BoH Art ha trovato una nuova formula nella progettazione dell’interscambio artistico Bolzano-Hungary.

Petőfi nel “cuore” di Milano.



Cortile degli Spiriti Magni (al centro la statua di Petőfi Sándor)
Petőfi Sándor (in ungherese il cognome precede sempre il nome) nel “cuore” di Milano è un fatto, più che una metafora.
Prima di una spiegazione, ecco l’origine di questa notizia inedita.

Il 4 dicembre si è inaugurata a Milano la mostra “Artisti, poeti e intellettuali del Rinascimento sulle rive del Danubio” (visitabile fino al 2 febbraio), a cura del Museo Letterario Petőfi di Budapest e in collaborazione con la Pinacoteca Ambrosiana.

La direttrice del PIM (Petőfi Irodalmi Múzeum), Csorba Csilla, ha illustrato le relazioni culturali italo-ungheresi nel Rinascimento (di cui restano poche testimonianze, in particolare quelle raccolte dall’antico circolo Sodalitas Litteraria Danubiana) e nel Risorgimento. Di quest’ultimo periodo ha ricordato in particolare la figura romantica del poeta e patriota Petőfi Sándor (1823-1849), i cui ideali romantici di amore e libertà ebbero larga eco anche in Italia come esemplare unità di pensiero e azione. Csorba ha inoltre segnalato la mostra organizzata a maggio di quest’anno a Budapest, Délszaki kalandok (“Avventure mediterranee”), sulla presenza degli scrittori ungheresi in Italia a cavallo tra XIX e XX secolo.

Don Federico Gallo, direttore della Biblioteca Ambrosiana, ha raccontato la nascita e lo sviluppo della Fondazione Card. Federico Borromeo. Questo luogo unisce biblioteca, pinacoteca e accademia: fu inaugurato l’8 dicembre 1609 per volere di Federico Borromeo – intellettuale aperto (era in corrispondenza con Galileo Galilei) e cugino del più famoso San Carlo – al fine di coniugare conoscenza e bellezza. Il complesso edilizio comprende anche il tempio del Santo Sepolcro, dove – come ha ricordato il console Manno István – ogni anno si celebra una messa per ricordare la rivoluzione ungherese del 1848: il prossimo 15 marzo 2014 sarà il 65° anniversario di questo incontro di ungheresi a Milano.

Don Federico Gallo e Csorba Csilla
Nel centro della Fondazione – sulle rovine dell’antico foro romano (il “cuore” dell’antica Mediolanum) sorge il Cortile degli Spiriti Magni, che ospita statue di famosi personaggi della cultura universale (Dante, Goethe, Platone ecc.).
Tra queste, c’è la statua di Petőfi Sándor, realizzata dallo scultore ungherese Béni Ferenczy nel 1948, ma – data l’iniziale opposizione delle autorità ungheresi – collocata nella sua destinazione finale solo nel 1973.
Ecco perché si può affermare che Petőfi è nel “cuore” di Milano.

PS: naturalmente adesso il Museo Letterario Petőfi e la Biblioteca Ambrosiana hanno una copia della mia raccolta di proverbi ungheresi.

martedì 3 dicembre 2013

Amiche dell’Italia in Ungheria



Solidarietà e carità caratterizzano l’annuale cena di beneficienza dell’associazione non profit “Amiche dell’Italia” a Budapest. L’evento, Charity Gala Dinner, si svolgerà all’Hotel Le Meridien lunedì 9 dicembre dalle ore 19.30 (quota di partecipazione 20mila fiorini, circa 67 euro). Ospited'onore sarà il pianista di fama mondiale Vasary Tamás, la "Bibbia della musica".
Tutti i fondi raccolti saranno devoluti all’Ospedale dei bambini Semmelweiss (Semmelweiss Gyermekkórház, Budapest), la più importante clinica in Ungheria per la cura del cancro e della leucemia nei bambini. Negli anni scorsi beneficiari dell’associazione sono stati la Fondazione Ospizio Ungherese (Magyar Hospice Alapítvány) e l’Ospedale dei bambini Heim Pál (Heim Pál Gyermekkórház), entrambi in Budapest.
L’associazione “Amiche dell’Italia” nasce nel 2008 a Budapest (sede in Haris köz, 6; quota associativa annua 2mila fiorini) ed è presieduta da Patrizia Scaduti Sauli, ma vanta come presidente onorario l’ambasciatrice d’Italia in Ungheria, Maria Assunta Accili. È costituita da donne, non solo italiane ma anche ungheresi e di altre nazionalità (purché conoscano la lingua italiana), che desiderano favorire la conoscenza reciproca e dell’Ungheria, con lo scopo di aiutare le categorie sociali più deboli, in particolare bambini con gravi malattie o disabilità.

lunedì 2 dicembre 2013

Proverbio/detto ungherese del mese (1008).



A legjobb ostor az abrak, letteralmente “la miglior frusta è il foraggio”. Questo è il 1008° proverbio (che prolunga la mia raccolta) dal significato inequivocabile: con le buone maniere si ottengono i risultati migliori.
Più sfumato l’equivalente italiano: quel che si risparmia in fieno va poi in frusta. Insomma, bisogna ricordare che lesinare sulla “giusta mercede” porta poi ad usare le maniere forti.
Ma il giovane Giusti sentiva spesso dal suo maestro quest’altro proverbio che sembra l’opposto: val più una frusta che cento arri là, cioè con gli asini (in senso metaforico) è meglio usare il bastone piuttosto che il richiamo verbale.

Si è poi affermato un modo di dire che apparentemente sta a metà strada: usare il bastone e la carota, in ungherese “büntetés és jutalmazás” (punizione e premiazione), oppure “furkósbot és mézesmadzag” (randello ed esca). Un sinonimo in ungherese è il modo di dire “Húszd meg, ereszd meg!” (tira, molla!), utilizzato anche con altri significati: il gioco “tiremmolla” (húszd meg-ereszd meg játék); oppure un tipo di politica monetaria, per serrare/allentare il credito (in inglese tightening/loosening).
Questo detto consiglia la tecnica di alternare buone e cattive maniere per ottenere qualcosa, sebbene lasci senza orientamento morale il singolo individuo nel discernere quando usare le une o le altre. Degenerazione di tale tecnica è quella “del poliziotto buono – poliziotto cattivo”: una tattica psicologica usata negli interrogatori spietati, oppure nelle aziende come forma di “mobbing”.

Segnalo la nuova edizione della raccolta di modi di dire di Erasmo da Rotterdam (1466-1536): Modi di dire Adagiorum collectanea (Einaudi, € 85), tradotti e commentati da Carlo Carena.
Erasmo rifiuta l’idea “che ogni motto sia necessariamente un proverbio, e viceversa un proverbio sia automaticamente un motto”. Gli interessano i modi di dire con due qualità: l’espressione metaforica e la provenienza dal patrimonio della tradizione. Erasmo non cerca la conferma dell’evidente, ma il contenuto sapienziale nascosto, poiché concepisce la raccolta come un manuale di saggezza e di stile. Il suo fine è l’utopia umanista: un mondo pacificato all’insegna di una condivisione fondata sulla parola, sull’approfondimento critico e sul confronto dialettico.



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Per Natale potete acquistare la mia raccolta di proverbi con lo sconto del 25%, entro il prossimo 15 dicembre.
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Auguri e buone feste! Boldog ünnepeket!

lunedì 25 novembre 2013

L’inno ungherese ufficiale (e quello non).



1° pagina manoscritta di Himnus
Nel post del 4 novembre ho accennato alle particolari tradizioni funerarie di Szatmárcseke, un paesino (falu)  di ca. 1.500 abitanti in provincia di Szabolcs-Szatmár-Bereg, nell’Ungheria nord-orientale. 
Questo falu è conosciuto anche per aver dato i natali all’autore  dell’inno ufficiale dell’Ungheria (dal1845): Kölcsey Ferenc (1790-1838), padre del liberalismo ungherese, poeta e critico letterario. Kölcsey nel 1823 ha scritto la poesia Himnusz, che diventerà – con la musica di Erkel Ferenc (1810-1893) – l’inno nazionale ungherese.
La storia e il testo dell’inno (in ungherese) lo trovate sul relativo sito.

Ecco la traduzione in italiano (di Paolo Agostini) delle prima strofa:

Benedici Iddio il Magiar,
con dovizie e buon umor,
su di lui stendi Tua man,
se combatte l’invasor;
sorte avversa chi subì,
goda alfin anni miglior,
Già il Magiar espiò
della storia amaro duol!

Ed ecco il video più cliccato per ascoltare l’inno ufficiale ungherese.

Ma nel terzo millennio l’inno ufficioso più amato dagli ungheresi sembra Magyarország (Ungheria), che si può ascoltare in quest’altro video.
Cantato dalla popolare Oláh Ibolya, su una celebre musica del Cirque du Soleil (Alegría), questo brano ebbe un immediato successo alla sua prima uscita nel 2005. Lo fece proprio il governo socialista di allora, ma se ne appropriò anche il centrodestra che vinse le elezioni nel 2009.
Eccone in anteprima la traduzione in italiano (a mia cura, non bella ma fedele):

-         Magyarország (testo ungherese/italiano)

giovedì 21 novembre 2013

Il Rinascimento sul Danubio.



Palazzo d'estate (Visegrád)
Il Rinascimento (XIV-XVI secolo) è un’epoca di risveglio artistico e culturale tra Medioevo ed età Moderna che si sviluppa a Firenze e si irradia in tutta Europa all’inizio del XVI secolo, influenzando con l'umanesimo le idee correnti.
Fa eccezione l’Ungheria, dove l’influenza rinascimentale si afferma già nel XV secolo subentrando a ideali e arti gotiche. Questa anticipazione la si deve soprattutto alla Regina d’Ungheria, Beatrice d’Aragona – nata a Napoli e figlia del re Ferdinando I – e al suo consorte, Mátyás (Mattia Corvino, 1440-1490), Re d’Ungheria dal 1458 alla morte.
Alla corte di Re Mattia furono invitati artisti e letterati italiani (Antonio Bonfini, Galeotto Marzio, Naldo Naldi e altri), e fu creata la celebre Biblioteca Corviviana – seconda in Europa solo a quella vaticana – dove furono raccolti migliaia di codici (ne sono rimasti solo 216) su tutto il sapere umano. Artisti italiani andarono ad ispirarsi sulle rive del Danubio, come il pittore perugino Tommaso Musolino da Panicale (v. post del 2 ottobre).
E naturalmente artisti ungheresi vennero in Italia, come Mihály Pannóniai (Michele Orango/Michele Pannonio), pittore alla corte degli Estensi di Ferrara. A Ferrara studiò anche, alla celebre scuola di Guarino Veronese, Janus Pannonius (1434-1472), il più importante poeta umanista ungherese, che divenne anche vescovo a Pécs.
Influenze si ebbero anche sulle lavorazioni della pietra tagliata, dei mobili, della ceramica (Mattia fondò a Buda la prima fabbrica di ceramiche), e si sviluppò anche la stampa (nel 1473 venne fondata da András Hess la prima tipografia a Buda).
Non fu tutto rosa e fiori: le nuove idee dell’umanesimo vennero combattute perché tacciate d’immoralità e scarsa religiosità dai monaci francescani di Buda (Temesvári Pelbart e Laskai Osvát), che trovarono larghi consensi.
Molte tracce dello splendido passato rinascimentale ungherese sono andate perse, ma restano ancora testimonianze mirabili (come il cortile rinascimentale del Palazzo d’estate di Visegrád, a pochi chilometri da Budapest, o la cappella di Bakócz a Esztergom).

Ben venga dunque la lodevole iniziativa del Consolato Generale d’Ungheria a Milano che, in collaborazione con la Biblioteca Ambrosiana, promuove la mostra “Artisti, poeti e intellettuali del Rinascimento sulle rive del Danubiodal 4 dicembre ’13 al 2 febbraio ’14. All’inaugurazione parteciperanno il poeta Szőcs Géza e Csorba Csilla, direttrice del Museo Letterario Petőfi (Budapest), oltre a Mons. Franco Buzzi e Don Federico Gallo.

-          BibliotecaAmbrosiana
-          Petőfi Irodalmi Múzeum

martedì 19 novembre 2013

Diversità culturale e biologica s'incontrano a Firenze.



“La diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura.” (dalla dichiarazione dell’UNESCO del 2 novembre 2001). Tali diversità sono dunque un valore e un patrimonio da preservare, per assicurare a noi e ai nostri discendenti un futuro socialmente e ambientalmente sostenibile.
Queste considerazioni erano solo latenti nei pensieri miei e dell’amico Giulio Rosetti, quando abbiamo pensato di organizzare a Firenze un incontro pubblico per promuovere la diversità culturale (kulturális sokszínűség) e la diversità biologica (biológiai sokféleség).
Giulio sta già promuovendo i prodotti agricoli biologici, in particolare olio e vino, dell’azienda toscana Dalle nostre mani, fondata con l’amico d’infanzia Lapo Tardelli. Prossimo appuntamento: sabato 30 novembre ore 18 alla Cascina Cuccagna di Milano.
Dal canto mio, cerco di contribuire a promuovere – attraverso questo blog e il libro sui proverbi ungheresi – la lingua e la cultura magiara.
Ma quando parliamo di lingua e di gusto, vengono in mente diversi significati: legati sia ai saperi che ai sapori (ungh. rispettivamente tudások e ízek). Così è diventato naturale associare i due percorsi e promuovere un incontro conviviale: “Parla come mangi/ Beszélj úgy, ahogy eszel, che si terrà venerdì 6 dicembre (h. 21, cena+lettura € 20 con prenotazione) presso l’enoteca-gastronomia Vivanda in via Santa Monaca n. 7, nel quartiere San Frediano di Firenze.
Là presenterò la mia raccolta bilingue di proverbi e detti ungheresi, in tandem con Giulio che dal canto suo presenterà i vini e l’olio nuovo della sua azienda.

L’ingresso è libero, con degustazione gratuita. Sono invitati gli amministratori del Comune di Firenze (città gemellata con Budapest), il Console onorario d’Ungheria, l’Associazione culturale italo-ungherese della Toscana e tutti i cittadini interessati.
Egészségünkre! (Alla nostra salute!).

-          il locale
-          il libro

lunedì 18 novembre 2013

La storia comune di Croazia e Ungheria.



Biblioteca Statale - Trieste
L’infaticabile coppia di mediatori culturali italo-ungheresi Gizella Nemeth e Adriano Papo animano, in quel di Duino (vicino a Trieste), il Centro studi Adria-Danubia, nonché due associazioni culturali: Sodalitas e “Pier Paolo Vergerio”. 
Due settimane fa erano all’università di Szeged (terza città dell’Ungheria) per presentare due loro libri: Ungheria. Dalle cospirazioni giacobine alla crisi del terzo millenio e La via della Guerra. Italia e mondo adriatico-danubiano alla vigilia della Grande Guerra (entrambi per le Ed. Luglio, San Dorligo della Valle 2013).
Questa settimana, invece, apriranno a Trieste “Adria-Danubia - 2° Festival di storia e cultura”, con interventi di studiosi e ricercatori italiani, croati, ungheresi. Sono previsti due convegni internazionali, presso la Biblioteca Statale di Trieste: “Croazia e Ungheria: otto secoli di storia comune” (giovedì 21); “La via della guerra. Eserciti e fortificazioni alla vigilia della Grande Guerra” (venerdì 22). Sabato 23 a Duino ci sarà un incontro letterario e musicale: “Le lacrime e il sangue delle battaglie”, a cura di Antonio Sciacovelli e Balázs Barták, con l’intervento dei giovani allievi del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico.
Tra le varie collaborazioni pubbliche e private, nell’ambito dell’Anno culturale italo-ungherese 2013, da segnalare la presenza dell’Università dell’Ungheria occidentale, Polo di Szomathhely.

giovedì 14 novembre 2013

Capa, padre del fotogiornalismo in mostra.



The Falling Soldier (Robert Capa)
I fotoreporter contemporanei devono molto a Robert Capa.
Era ungherese e in realtà si chiamava Ernő Friedmann Endre (1913-1954). Nel ’31 fu esule dall’Ungheria e cominciò in Germania la sua carriera. Nel ’36 scelse lo pseudonimo di Robert Capa, con cui firmò una dei suoi più noti reportage fotografici: quello sulla guerra civile spagnola (1936-37), con la celebre foto del “miliziano caduto” (The Falling Soldier). Nel ’38 quelle foto furono raccolte in un volume, ideato dall’amico ungherese Kertész André, che Capa dedicò alla donna della sua vita, la fotografa tedesca Gerda Taro, uccisa sul fronte spagnolo l’anno prima.
Poi fu in Francia e negli USA. Nel ’47 fondò – con Henri Cartier-Bresson, George, Rodger, David Seymour – l’agenzia fotografica indipendente Magnum, che diede nuova dignità al fotogiornalismo. Morì su una mina in Vietnam nel ’54: a soli quarantun’anni aveva già scattato 70mila foto.

Il Museo di Roma Palazzo Baschi, nel centenario della morte, dedica una mostra a 78 suoi scatti in bianco e nero durante la II guerra mondiale (soprattutto come fotoreporter di Life): “Robert Capa in Italia 1943-1944”. La mostra – curata da Legyel Beatrix del Museo nazionale ungherese è aperta fino al 6 gennaio 2014, poi sarà a Firenze dal 10 gennaio al 30 marzo 2014.
Più ricca e interessante la mostra “Robert Capa / A Játékos” (Il Giocatore), in corso fino al 12 gennaio 2014 presso il museo nazionale di Budapest (Magyar Nemzeti Múzeum), che cinque anni fa acquistò la serie Robert Capa Masyter Selection III dall’International Center of Photography di New York, che custodisce l’eredità fotografica di Capa.

Mostre a Firenze nell’anno culturale italo-ungherese.
  • Fino al 6 gennaio 2014 a Firenze (Museo di San Marco) è aperta la mostra Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria”, sui rapporti tra il re ungherese e l’Umanesimo di Firenze.
  • Ancora a Firenze (ex chiesa di San Scheraggio), è aperta fino al 30 novembre la mostra “Gli autoritratti ungheresi degli Uffizi”, 23 opere della Collezione degli autoritratti della Galleria degli Uffizi. L’esposizione è dedicata alla memoria di Boskovits Miklós, storico dell’arte ungherese scomparso nel 2011, dal ‘68 docente nell’ateneo fiorentino.
  • Sempre a Firenze (Villa Finaly) era aperta solo ad ottobre la mostra “Budapest Amore Mio” di Ottò Kaiser. All’inaugurazione ha partecipato, tra gli altri, Tarlòs Istvàn sindaco di Budapest, città gemellata con Firenze.
  • Non è più a Firenze (era in ottobre al Palazzo Medici Riccardi), ma gira per l’Italia, la mostra “Le case della memoria italiane e ungheresi: una risorsa condivisa per la cultura”. Si tratta di pannelli che illustrano la rete italiana e quella ungherese di case-museo, luoghi che hanno ospitato personaggi illustri. C’è un catalogo trilingue della mostra (inglese, italiano, ungherese), che si può ancora vedere a Lastra a Signa (fino al 17 novembre), a Roma (21 novembre – 8 dicembre), a Modena (21 dicembre – 6 gennaio). Poi andrà in varie città dell’Ungheria.
-         la mostra di Capa
-         le case della memoria